Menu principale:
Eventi > 2014
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
PER LA XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro
oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi,
sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie
di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa
interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. A
livello globale vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri.
Spesso basta andare in giro per le strade di una città per vedere il contrasto tra la gente che vive sui
marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce
più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà; come pure di
conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.
In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci
percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno
serio per una vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci
meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati solamente
se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri. Abbiamo bisogno di comporre le
differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel
rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a
ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della
comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire maggiori
possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio.
Esistono però aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera la nostra capacità
di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle
opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera
di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati
interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a
disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi
ci sta più vicino. Senza dimenticare che chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali,
Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci
ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica. Dunque,
che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca?
Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo
e capacità di fare silenzio per ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo
capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente
tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta. Se siamo veramente desiderosi di ascoltare gli
altri, allora impareremo a guardare il mondo con occhi diversi e ad apprezzare l’esperienza umana
come si manifesta nelle varie culture e tradizioni. Ma sapremo anche meglio apprezzare i grandi
valori ispirati dal Cristianesimo, ad esempio la visione dell’uomo come persona, il matrimonio e la
famiglia, la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, i principi di solidarietà e sussidiarietà, e
Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro?
E per noi discepoli del Signore, che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo?
Come è possibile, nonostante tutti i nostri limiti e peccati, essere veramente vicini gli uni agli altri?
Queste domande si riassumono in quella che un giorno uno scriba, cioè un comunicatore, rivolse a
Gesù: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in
termini di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la “prossimità” nell’uso dei mezzi
di comunicazione e nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Trovo una risposta nella
parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti,
si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che
vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere
l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa
quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della
comunicazione come “prossimità”.
Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione
delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo
percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola. In lui il levita
e il sacerdote non vedono un loro prossimo, ma un estraneo da cui era meglio tenersi a distanza. A
quel tempo, ciò che li condizionava erano le regole della purità rituale. Oggi, noi corriamo il rischio
che alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale.
Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre
che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in
noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono
le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Anche
il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere
tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone
umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può
rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità
di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere
Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di
autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la
gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche
quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una
speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare «fino ai confini della terra» (At
1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente
entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie
del tempio e uscire incontro a tutti. Siamo chiamati a testimoniare una Chiesa che sia casa di tutti.
Siamo capaci di comunicare il volto di una Chiesa così? La comunicazione concorre a dare forma
alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere
questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel
contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore.
La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con
la volontà di donare se stessi agli altri «attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente
e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del
senso dell’esistenza umana» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, 2013). Pensiamo all’episodio dei discepoli di Emmaus. Occorre sapersi
inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le
speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per liberarci
dal peccato e dalla morte. La sfida richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale.
Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo
punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma
alla pretesa che siano uniche ed assolute.
L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra
olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono
per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci
prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza. Non abbiate timore
di farvi cittadini dell’ambiente digitale. È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel
mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo:
una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto la
rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che
richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio.
Dal Vaticano, 24 gennaio 2014, memoria di san Francesco di Sales
FRANCISCUS
Menu di sezione: